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Cella di Santa Maria di Meoglio

Anche la località di Meoglio, come gli altri abitati della nostra zona, si affaccia alla storia con il diploma imperiale del 7 maggio 999.


Descrizione

Il diploma imperiale di Ottone III parla di “conferma” alla chiesa di Vercelli di diritti sopra queste località e questo fa pensare che queste località fossero già da tempo donate alla chiesa di Vercelli e che, quindi, Meoglio, al pari di Areglio, Erbario e Clivolo, risalga per le sue origini a tempi anteriori al 999.

Lo sperduto abitato, dopo questa prima fugace apparizione, rientra nell’ombra e vi rimane fino all’anno 1151, quando una Bolla di Papa Eugenio, in data 18 maggio, prendendo sotto la protezione di San Pietro il monastero di San Genuario e le sue dipendenze, ricorda, tra queste, la chiesa dedicata a San Bononio.

 

La chiesa di Meoglio era appunto dedicata a San Bononio, abate di Lucedio dal 990 al 1026, anno della sua morte.

La potente abbazia benedettina di Lucedio aveva, infatti, in questi paraggi, ampi possedimenti fin dal secolo X. Non possiamo, però, sapere con precisione come e quando l’abbazia abbia acquistato beni ad Erbario e a Meoglio, ma dovette essere almeno dal principio del secolo XI. Qualcuno crede che la scelta di San Bononio a titolare della chiesa  volesse indicare che questi luoghi ebbero una qualche particolare relazione con il santo abate. Tuttavia non dobbiamo credere che San Bononio si sia rifugiato a Meoglio, per sottrarsi alle vessazioni di Arduino, perché questa località era vicina alla marca d’Ivrea e, quindi, la meno indicata quale luogo di rifugio. Piuttosto si può ben credere che il santo abate abbia avuto il possesso monastico di Meoglio e di Erbario.

In un diploma dell’imperatore Federico Barbarossa del 12 gennaio 1159, tra le dipendenze dell’abbazia di San Genuario, troviamo nominata la “curtis Herbarij”, cioè il villaggio di Erbario. Non troviamo, invece, nominato Meoglio e questo dovrebbe significare che a Meoglio i monaci benedettini di Lucedio non avevano che una “cella”.

La “curtis” o “corte medievale” corrispondeva al villaggio economicamente autonomo, cioè capace di soddisfare ai propri bisogni economici essenziali con la propria produzione agricola e artigianale. La “cella”, invece, non era altro che un piccolo convento dipendente dall’abbazia madre. A questa “cella” presiedeva un monaco sacerdote, chiamato spesso “priore”, il quale aiutato dai frati “conversi” e dai “coloni”, provvedeva alla bonifica dei territori circostanti, donati alla casa matrice monastica o acquistati da questa con contratti.

La prima volta che troviamo il nome di Cella di Meoglio, da cui l’odierno santuario della Madonna ha ereditato la sua denominazione, è in un atto del 3 dicembre 1193 (Arch. Capit. Vercelli); non più però sotto il titolo di San Bononio, ma bensì di Cella di Santa Maria di Meoglio.

Forse l’antica chiesa era stata abbandonata o ricostruita nel frattempo sotto il titolo di Santa Maria circa la metà del secolo XII.

Paolo Verzone (Architettura romanica del Vercellese, Vercelli 1934) assegna in base ai pochi elementi architettonici rimasti, le costruzioni antiche della cella di Meoglio al 1100-1129, ma bisognerà forse ritardarne la data di qualche decennio. Come spiegare diversamente che la Bolla del 1151 non fa alcun cenno della Cella di Santa Maria e menziona soltanto la chiesa di San Bononio? La prima, dunque, non doveva ancora esistere. D’altra parte non si può supporre che il titolo liturgico di San Bononio sia stato sostituito in seguito con quello di Santa Maria senza gravi ragioni, come di ampliamenti o di ricostruzione, poiché sarebbe contro le antiche consuetudini e le regole liturgiche.

Ricompare ancora una volta con il nome di Cella di Meoglio, il 25 marzo 1261, a motivo dell’interdetto da cui venne colpita, per non aver pagato la taglia imposta per liberare Guglielmo di Monferrato dalle carceri di Alessandria. Poi, per quasi due secoli, non venne più nominata.

Gli edifici, abbandonati e trascurati, a poco a poco andarono in rovina. Nei dintorni, le antiche abitazioni erano state in gran parte demolite per recuperarvi materiali per la costruzione del borgofranco.

Quando il 14 ottobre 1573 Mons. Bonomi, vescovo di Vercelli,  ne visitò la chiesa, questa mancava del tetto, aveva i muri perimetrali, come pure l’arco dell’abside e l’altare, semidistrutti. A fianco dell’abside, a sud, vi era la casa parrocchiale, anch’essa scoperchiata e con le pareti in rovina (Arch. Curia Arc. Vercelli).

La relazione della visita fatta da Mons. Asinari, vescovo di Ivrea, in data 6 dicembre 1651, ci fornisce un quadro ancora più desolante.

A quella data erano ancora visibili i ruderi del convento, ma la chiesa era assediata da spineti, da arbusti e piante (Arch.  Curia Vesc. Ivrea).

Venne poi restaurata nel 1686 dal priore Don Francesco Ludovico de Luca, curato di Dorzano, cui era stato conferito il beneficio di Meoglio con Bolla del 1° aprile 1670.

Molto verosimilmente, nell’occasione dei restauri, la devozione personale del sacerdote alla Beata Vergine della Cella, lo spinse a far includere nell’icona dell’altare, con l’immagine della Vergine, titolare della chiesa, i Santi suoi protettori: San Ludovico, San Francesco e San Luca. Più anticamente, erano già stati raffigurati San Pietro apostolo e San Dalmazzo di Erbario per l’unione del beneficio della chiesa omonima, ormai distrutta, a quella della Cella.

Poi tornarono per la chiesa della Cella nuovamente tristi tempi di abbandono.

Nel 1732 la chiesa era di nuovo in rovina e tale appare a Mons. Solaro, vescovo di Vercelli, nella visita pastorale del 1748.

Ma la devozione del popolo per la Madonna della Cella, anziché morire, si andava accentuando. L’11 settembre 1825, nella visita pastorale di Mons. Grimaldi si mette appunto in rilievo che l’immagine “è quanto mai venerata” (Arch. Curia Arciv. Vercelli).

L’antico insediamento monastico della Cella di Meoglio, ai nostri giorni, di antico, conserva solo una parte di muro a nord.

L’attuale chiesa  della Cella è, invece, di recente costruzione (metà del XIX secolo).

Nel 1848, sulle secolari rovine dell’antichissima chiesa, ne vennero gettate le fondamenta e, in brevissimo tempo, grazie anche alle generosissime offerte dei fedeli, risorse dai ruderi.

Nel 1851 i lavori furono ultimati. Sorsero, però, intoppi burocratici dovuti alle liti per questioni di territorialità tra le diocesi di Vercelli e Ivrea, che sospesero l’apertura della chiesa. Ma, finalmente, nel 1856, venne celebrata la prima messa.

Si arriva così al 1924, anno in cui si curò il ricambio di quasi tutta la travatura del tetto e delle tegole, la scrostatura delle volte e delle pareti, la decorazione di tutta la chiesa, la sostituzione dell’antico altare in muratura con uno nuovo di marmo di Carrara, l’abbassamento del pavimento per mettere in maggior rilievo l’altare e l’icona della Vergine.

Nel 1941 venne poi costruito il campanile e, qualche anno più tardi, nel 1948, si ampliarono e si sistemarono le strade da tutte le diramazioni e furono costruite le cappellette della via Crucis lungo la strada e il piazzale antistante.

Da allora, nella solitudine e nella silente pace del bosco, la chiesetta della Madonna della Cella è rimasta, unica testimone dei tempi antichi, a invitarci a conservarla gelosamente, come una preziosa memoria del nostro passato.


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Dove

Meoglio

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Pagina aggiornata il 29/09/2023 17:38:00

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